Sono ormai milioni le persone in fuga dalla guerra in Ucraina e fra queste moltissimi minori, bambini e adolescenti, tutte persone che sono dovute scappare dal loro paese per cercare rifugio in pesi amici che possano accoglierli, spesso dovendo vivere giorni e giorni di disagio estremo, di paura e angoscia, prima di potersi sentire un po' al sicuro. Viaggi verso la salvezza, vissuti da fuggitivi, a volte esposti anche a freddo, fame e violenze di vario genere.
I profughi che fuggono dalla loro terra lasciano tutto, ogni legame viene reciso: la sicurezza della loro casa, delle loro relazioni affettive, del loro ambiente sociale, la rassicurante e serena quotidianità. E’ un’esperienza di terrore, di mancanza di senso, di lutto profondo e totale. Spesso si manifesta da subito una perdita di fiducia, fiducia negli altri esseri umani, fiducia nella vita e nel futuro.
Ormai non c’è più bisogno di ricordare che la guerra è un’esperienza traumaticamente devastante per questi profughi e per chi la subisce in prima persona. Lascia tracce spesso indelebili e inguaribili, soprattutto se non si trova poi un’ambiente sociale e umano capace di accogliere e lenire, almeno un po', queste ferite. Ferite che rischiano di avere in futuro potenti effetti sulla salute mentale: un senso di profonda insicurezza, di disistima di sè, di ansia, grossi problemi emotivi e di socializzazione, comportamenti violenti, abuso di sostanze, depressione e altro ancora. Tutte condizioni che col tempo possono avere importanti esiti psicopatologici: disturbo da stress post-traumatico (PTSD), disturbi dissociativi e altri disturbi psichiatrici, fino al punto da sviluppare anche malattie somatiche che possono facilmente cronicizzare.
Dagli studi e ricerche di questi ultimi decenni sappiamo che la grande parte dei sopravvissuti alla guerra spesso soffre di problemi che si esprimono e si sviluppano in tempi medio-lunghi. I bambini e gli adolescenti poi soffrono moltissimo, sono le vittime più vulnerabili e fragili. Spesso non esprimono verbalmente le emozioni più forti, ma sono terrorizzati e totalmente disorientati davanti a quello che sta accadendo a loro e ai loro familiari. I sintomi osservati più frequentemente in altre esperienze simili (es. il post conflitto nell’ex Jugoslavia) sono stati: irrequietezza e scoppi di rabbia, problemi di apprendimento, ansia da separazione, disturbi del sonno, comportamenti pericolosi, problemi alimentari (a volte anche il rifiuto di mangiare e bere), mal di testa e/o di stomaco. Con la possibilità di arrivare, anche per loro, a soffrire di PTSD e a importanti sintomi depressivi (a volte con pensieri suicidi). Solo nella ex Jugoslavia, già nel 2006, si calcolava che circa il 29 % dei rifugiati, il 75% degli sfollati e l’11% dei civili presentassero gravi disturbi psicologici dovuti all'esperienza traumatica della guerra. Sempre in quel periodo, alcune stime parlavano di circa un milione e mezzo di persone che in Bosnia soffrivano di PTSD!
I bambini, si diceva, sono i più esposti a questa terribile esperienza, sperimentano il terrore della morte, esperienza che non conoscono e che non sanno significare ed integrare nella propria mente, e più sono piccoli più profondamente quest’angoscia scuote profondamente il loro equilibrio psicofisico. Occorre quindi aiutarli ad elaborare questa esperienza profondamente traumatica parlando con loro, ascoltandoli nei loro pensieri, nelle loro paure, dare risposta alle loro domande (anche giocando e disegnando con loro), ma proteggendoli anche dall’esposizione a immagini e notizie di guerra che scorrono giornalmente sui nostri schermi.
In questo è importantissimo il ruolo dei genitori. Sono loro, prima di chiunque altro, a poter rassicurare i bambini, e quindi anche loro vanno assolutamente supportati e aiutati a ritrovare un po' di sicurezza e tranquillità. Spesso per loro c’è bisogno di un supporto specialistico, di un supporto fornito da psicologi formati e competenti nell’intervento emergenziale, e questo è proprio il compito degli psicologi dell’emergenza. In questi interventi di solito sono utilizzate tecniche di rielaborazione ed integrazione dell’esperienza traumatica, pratiche di rilassamento e altre modalità ancora. E’ soprattutto utile la possibilità per i profughi di raccontare, di essere ascoltati e compresi empaticamente; la narrazione è fondamentale per poter organizzare nella propria mente l’esperienza vissuta, ma è anche importante che, quando si tocchino eventi e vissuti particolarmente traumatici, ci possa essere proprio la presenza di uno psicologo competente che sappia come sostenere ed intervenire in modo mirato e professionale.
Dobbiamo considerare che la paura e la rabbia che nascono dopo queste esperienze, col tempo possono tramutarsi in odio e risentimento. Possono diventare sentimenti pervasivi, mantenersi a lungo e portare a sviluppare una marcata mancanza di fiducia e di speranza e una mancanza di prospettiva verso il futuro. Per questo motivo il contatto umano è l’esperienza “curativa” indispensabile; quindi, ad essere centrale sarà anche l’atteggiamento di accoglienza a livello micro (la realtà cittadina) e macro sociale (la realtà sociale più allargata). Sarà importante fare sentire accolti e protetti tutte queste persone, adulti e minori, aiutandoli anche a vivere la loro quotidianità in un paese per loro straniero qual è il nostro, senza aggravare la loro condizione e aiutandoli a ridurre un poco la paura ed il senso d’insicurezza.
Sarà, per noi, un grande impegno riuscire ad accogliere nel migliore dei modi tutte le persone che stanno arrivando in Italia (e negli altri paesi europei). E possiamo fare qualcosa adesso, qualcosa che aiuti queste persone a ritrovare un maggior senso di sicurezza, di fiducia nell’essere umano e soprattutto che li aiuti ad interrompere quella catena di odio, risentimento e violenza che genera sempre la guerra. Possiamo supportarle durante i primi mesi, e questo è il compito della psicologia dell’emergenza, e dobbiamo poi continuare a monitorare e seguire il processo di adattamento nel medio e lungo periodo per evitare i problemi di cui sopra e l’insorgenza di stress post-traumatico, e questo sarà soprattutto compito dei nostri servizi pubblici.
Quello che sta succedendo in Ucraina però, l’invasione di quella terra, la guerra e gli orrori che ne derivano, non è confinato solo quel paese e alla sua gente. Tutti noi, qui in Italia, possiamo esserne un pò vittime! In misura assolutamente minore, ma il contatto con questi profughi, le notizie e le immagini che ci arrivano attraverso i mass media e i social media e la preoccupazione e la paura per l’allargamento del conflitto bellico affondano nei nostri cuori e nelle nostre menti lasciando il segno. Anche noi quindi dobbiamo fare attenzione ai segnali di stress emotivo che possono nascere durante questo tempi così incerti. Dopo la pandemia dobbiamo ora occuparci di una nuova minaccia, siamo chiamati ancora una volta a fare grandi sforzi per mantenere un buon equilibrio dentro di noi e nella nostra quotidianità. E anche noi dobbiamo prenderci cura dei nostri bambini e adolescenti per proteggerli e rassicurarli, coltivando assieme a loro la fiducia e la speranza che da tutto questo possa venire qualcosa di buono.
di Alberto Dazzi, Socio SIPEM SoS ER