Introduzione
Come la guerra sia entrata nelle nostre vite di cittadini europei, pur essendo ancora a una distanza tale da consentirci di scegliere se occuparcene o glissare, è una questione per cui spenderemo certamente energie nel prossimo futuro, con equilibri geopolitici che influenzeranno sempre di più il nostro presente.
Chi sceglie di operare negli scenari in cui si sviluppa l’emergenza, prima di tutto deve fare i conti con il tema dell’imprevedibilità degli eventi e di come questi possano velocemente modificarsi, richiedendo capacità di rapida analisi e di ridefinizione delle risposte, affinché queste possano concretizzarsi in tempi coerenti con i bisogni.
Per questa ragione, nella fase di avvio delle prime azioni belliche perpetrate dalla Russia, è stato subito chiaro che come professioniste volontarie della Società Italiana di psicologia dell’Emergenza Social Support dell’Emilia Romagna (Sipem SoS E.R.), fosse necessario aprirsi all’idea di intercettare ogni spunto utile a intraprendere azioni di supporto, consapevoli che la complessità del momento avrebbe richiesto grande cautela.
Come nasce il progetto: la richiesta di aiuto
L’Università di Bologna ha pensato di raccogliere e mettere a disposizione dell’Hub di Bologna, deputato alla prima accoglienza di profughi ucraini, le disponibilità di studenti che parlassero bene ucraino o russo a fare da mediatori/facilitatori linguistici volontari durante l’iter di identificazione degli accolti presso l’Hub.
La coordinatrice del corso di laurea magistrale in interpretazione del campus di Forlì, vista la disponibilità offerta in blocco da tutti gli studenti russisti del suo corso e consapevole dell’impatto emotivo che l’esperienza avrebbe potuto avere per loro, ha deciso di mettersi in contatto con Sipem SoS E.R. con la richiesta di supportare gli studenti durante le attività di interpretariato messe in campo in quella fase.
Nell’incontro preliminare tenutosi tra la coordinatrice del Corso di Studi e delle psicologhe di Sipem SoS E.R., si è immaginato che l’impatto emotivo dell’esperienza, seppur desiderata e potenzialmente coerente con le mansioni lavorative future degli studenti coinvolti, avrebbe potuto far emergere un rischio concreto di disaffezione al profilo professionale scelto nel percorso di studi ancora in corso, a causa del carattere di straordinarietà dell’intervento che veniva avanti, estremamente inusuale tra le esperienze solitamente proposte dall’Università.
Il progetto, unico nel suo genere, affianca due mondi, quello dell’emergenza e dell’università, molto distanti per natura, ma che grazie a un pensiero protettivo hanno potuto incontrarsi con uno scopo di accoglienza emotiva e di prevenzione della traumatizzazione vicaria, che spesso coinvolge il mondo dei soccorritori.
In questo scenario, gli studenti coinvolti sono stati considerati allo stesso modo di chi opera in ruoli di soccorso sul campo e l’intervento di supporto proposto dalle psicologhe di Sipem SoS E.R. ha avuto come focus l’attenzione alla salute psicologica dei soccorritori, favorendo lo sviluppo di strumenti di coping che potessero prevenire e contenere eventuali rischi di inficiare i percorsi di studio in cui i volontari erano coinvolti al momento della realizzazione degli interventi realizzati all’Hub.
Le psicologhe di Sipem SoS E.R., di cui una esperta in contesti di gruppo e l’altra in mediazione culturale in ambito clinico, hanno valutato di poter rispondere alle sollecitazioni attraverso la creazione di uno spazio che potesse rappresentare un’azione di vicinanza concreta e allo stesso tempo di contenimento dei rischi connessi all’esperienza, attraverso l’utilizzo dello strumento del debriefing psicologico.
Gli incontri sono stati realizzati a cadenza quindicinale tra marzo e maggio 2022.
La scelta dell'uso del debriefing psicologico
Il debriefing è una metodica introdotta per la prima volta durante la seconda guerra mondiale dal comandante delle forze armate U.S, S.L.A Marshall.
Il suo primo utilizzo fu per mettere in luce gli eventi successi in combattimento. La sessione d'incontro avveniva con un gruppo ristretto di soldati superstiti guidata da un ufficiale di grado superiore immediatamente dopo il combattimento. Grazie a questi incontri si riusciva a creare una comunicazione tra i soldati e a ricreare il gruppo che si allontanava durante la battaglia. Con questi interrogatori si riuscì a verificare come gli stessi eventi vissuti dai soldati venivano interpretati in maniera completamente diversa dando connotazioni disomogenee. Fu a partire da questa osservazione che si focalizzò l'attenzione di psicologi e psichiatri sul debriefing. Con la guerra in Corea e in Vietnam psicologici e psichiatri misero a punto la tecnica di debriefing come supporto ai soldati; il tutto era sostenuto dall'idea che parlare dell'esperienza aiutasse il recupero psicologico.
Negli anni successivi, la metodica fu messa a punto anche in altri contesti in cui fosse necessario alleviare i sintomi dello stress. Con il passare del tempo le procedure di Debriefing furono allargate e, con successo, portate anche nelle scuole, nelle banche, negli ospedali e in altri ambienti comunitari.
Il debriefing psicologico è, quindi, un procedimento strutturato che serve ad aiutare i superstiti e i soccorritori a comprendere ciò che è accaduto per poter gestire al meglio gli eventi futuri. Il compito di mitigare lo stress di questi operatori è una componente vitale dell’aiuto psicologico nelle emergenze e può essere organizzato non solo come intervento precoce sul luogo e verifica dell’aiuto successivo, ma soprattutto come processo continuo di prevenzione per dare ai soccorritori elementi per agire e non subire gli effetti di questo stress.
È una tecnica di pronto soccorso emotivo, organizzato dopo 24-76 ore dall'esposizione all'evento traumatico. È una procedura di gruppo che coinvolge individui che sono stati esposti allo stesso evento e comprende sia una fase di scambio delle informazioni sui fatti dell'evento, sia la condivisione delle risposte emozionali. Costituisce un'opportunità per imparare dagli altri e per modificare opinioni pre-costituite. La procedura di debriefing maggiormente descritta in letteratura è il Critical Incident Stress Debriefing (CISD).
Nella situazione specifica descritta in questo articolo, il debriefing ha avuto la funzione di tenere monitorate le condizioni degli studenti dando loro la possibilità di confrontarsi con i colleghi sui vissuti emersi durante i turni di lavoro, potenzialmente traumatici, allo scopo di eliminare o alleviare le conseguenze emotive spesso generate da questo tipo di esperienze.
Il gruppo è inteso quindi come risorsa. È all’interno del gruppo che si gestiscono le ricadute emotive che l’attività può comportare: l’eccessiva responsabilizzazione di fronte ad un intervento, l’accoglimento della sofferenza altrui e propria, l’accettazione del fatto che esistono problemi cui, non sempre, si riesce a dare immediata soluzione. Il gruppo, in quanto luogo di confronto, pianificazione e riesame degli interventi, consente alle squadre di sviluppare una capacità di valutazione e autovalutazione del lavoro svolto. La valutazione diventa, a sua volta, uno strumento di apprendimento in itinere, che consente di orientare l’azione e attenuare eventuali effetti negativi, oltre a rendere possibile la creazione di condizioni di riproducibilità, la comunicazione dei risultati e l’argomentazione delle loro validità.
Il lavoro di mediazione/interpretariato nell’HUB di Bologna
In molte parti d’Italia, si sono istituiti HUB per la primissima accoglienza dei profughi ucraini in fuga dalla guerra.
L’obiettivo era garantire alle persone che arrivano un unico punto nel quale poter:
effettuare un tampone con presa in carico degli eventuali positivi, oltre al test per la tubercolosi (con la collaborazione dell’Ausl);
poter certificare la presenza dei profughi sul nostro territorio (grazie al personale della Polizia di Stato);
offrire orientamento rispetto ai servizi del territorio (accoglienza abitativa, scuole, salute e altro) grazie allo sportello dei Servizi sociali del Comune.
Questo è il contesto in cui si sono trovati ad operare gli studenti di interpretariato e mediazione. Vi erano anche volontari della Croce Rossa Italiana come supporto all’accoglienza materiale dei profughi.
Gli incontri di debriefing
Sono stati svolti sei incontri della durata di un’ora e mezza circa. La partecipazione, molto alta al primo incontro, ha poi avuto un andamento oscillatorio in base ai turni lavorativi degli studenti.
Nell’analizzare a posteriori questi elementi, appare chiaro quanto gli incontri periodici realizzati con il gruppo di studenti sia mutato di forma e di significato nel corso dell’avanzare degli avvenimenti.
A un iniziale onda emotiva è stata via via sostituita una razionalizzazione dei margini d’intervento possibili in relazione ai contesti e alle situazioni che venivano avanti. Così se nei primi incontri emergeva un forte entusiasmo da parte degli studenti all’idea di essere presto chiamati per essere impegnati nelle attività di traduzione o mediazione linguistica, successivamente emergevano emozioni di varia natura: per alcuni un forte senso di frustrazione per il fatto di non essere più stati ricontattati a seguito di un primo momento valutativo da parte degli organizzatori degli interventi dell’HUB; in altri invece sentimenti di fatica, ansia o smarrimento causati dal fatto di aver preso parte ad incontri di mediazione linguistica con persone provenienti da zone di conflitto, essendosi improvvisamente accorti di non essere stati preparati alla gestione di quella complessità, in termini emotivi oltre che operativi.
Il tema delle competenze richieste a chi si offre volontario per questo tipo di intervento, è stato un elemento emerso fin dal primo incontro di debriefing. Nei contesti emergenziali spesso non si hanno troppe informazioni su “cosa aspettarsi una volta in campo”; occorre quindi tenere alta l’attenzione sul mantenimento di un buon livello di competenza in relazione al proprio ruolo. A questo proposito le psicologhe hanno scelto di proporre una riflessione agli studenti in relazione a quali strumenti questi riconoscessero come propri nello svolgimento della loro mansione. A partire da domande che riguardavano l’organizzazione delle attività, si sono fatte spazio domande relative al bagaglio lessicale da poter utilizzare nel lavoro di mediazione. Alcuni studenti hanno arricchito la riflessione teorica e altri, sono stati tranquillizzati dai colleghi che nei giorni precedenti erano stati inseriti nella turnistica dell’Hub sperimentandosi in un ruolo già attivo. A seguito di questo primo momento di riscaldamento sugli strumenti, ci si è dedicati alle aspettative/paure rispetto la “tenuta psicologica” di fronte a interventi così impattanti. Sono stati introdotti i concetti di stress dei soccorritori, di traumatizzazione vicaria e dell’importanza della squadra.
L’aspetto dell’identificazione ha permesso di lavorare sull’impatto emotivo personale di fronte alla sofferenza permettendo alle psicologhe di introdurre il tema delle emozioni dei soccorritori in generale e delle emozioni quando nel soccorritore scatta l’identificazione con la vittima.
Si sono offerti momenti di riflessione su quanto il gruppo possa essere d’aiuto per rimanere ancorati al proprio compito e di quanto sia anche necessario riconoscere i propri limiti per poter decidere di “lasciare il campo”. Agire sugli eventi a caldo, utilizzando il gruppo, facilita la possibilità che un soggetto possa meglio identificare i propri sentimenti, le paure condivise, i limiti personali avvertiti oltre le aspettative, le idee irrazionali e ciò che attiene al sistema di riferimento individuale.
Procedere in modo strutturato alla verifica dei sistemi di riferimento individuali con reazioni emotive tipo ansia, depressione, rabbia, autocommiserazione, procrastinazione può favorire l'opportunità di riprocessare più adeguatamente gli eventi soggettivamente più critici e pervenire, attraverso la mediazione del gruppo, a un più funzionale assetto psicologico.
L’idea di poter interrompere il proprio turno di lavoro è stato un tema approfondito perché il vissuto di alcuni studenti era la paura di dare un messaggio di sconfitta, di rinuncia o peggio abbandono di chi ha bisogno. Ci si è interrogati su quanto fosse opportuna la condivisione con i beneficiari dell’intervento dei propri stati d’animo e di difficoltà. Una studentessa ha dichiarato di essersi commossa in presenza di una donna per la quale stava svolgendo attività di mediazione linguistica e di come questa condivisione emotiva abbia poi permesso una maggiore fluidità nell’intervento. Un'altra, invece, ha dichiarato di essersi fatta sostituire durante il percorso di mediazione perché l’identificazione della beneficiaria dell’intervento con una sua parente, non le permetteva di rimanere concentrata. Queste due esperienze hanno aiutato gli studenti a comprendere come sia necessario il contatto con le proprie emozioni, di come non ci sia una modalità corretta in senso universale, ma di come ciascuno in base alla propria storia, al proprio vissuto, al ruolo che esercita, possa scegliere la strada più opportuna per svolgere il proprio lavoro.
Nel corso degli incontri successivi, ha iniziato a circolare una certa demotivazione perché molti studenti non erano stati convocati dall’Hub. A più di metà percorso la frustrazione degli studenti non convocati è diventata intensa stimolando quasi vissuti di esclusione in chiave paranoica. Il lavoro di gruppo è andato nella direzione di promuovere l’attivazione degli studenti per capire come fossero organizzati i turni dell’Hub, nel tentativo di dare spazio a emozioni negative che circolavano veloci tra gli studenti, alimentando la sensazione di impotenza ma senza produrre ipotesi di soluzione.
In questa fase è stato possibile per le psicologhe introdurre il tema dell’operare in contesti emergenziali che non solo cambiano in base alle fasi dell’emergenza ma soprattutto che necessitano del tempo necessario a potersi strutturare.
All’attivazione del progetto di debriefing, l’HUB era ai primi giorni di gestione dell’intervento, nella fase di distribuzione di compiti e responsabilità tra i vari enti coinvolti (ASL, Prefettura, Comune e Associazioni di volontariato).
La spiegazione offerta agli studenti di come i contesti si organizzano e riorganizzano in fase di emergenza, ha permesso lo sviluppo di una parte proattiva da parte degli studenti che hanno così potuto iniziare a pensare a quale ruolo potessero avere essi stessi sull’organizzazione. È stato un incontro molto intenso in cui si sono raccolte ed esplicitate le paure e l’ambivalenza del voler prendere parte all’esperienza da una parte e la paura di esserne segnati dall’altra.
Un altro aspetto centrale emerso quasi subito è stata la necessità di valutare quale lingua sarebbe stato più adeguato utilizzare per l’attività di mediazione. Anche tra gli studenti aveva iniziato a circolare una sensazione di disagio rispetto all’utilizzo della lingua russa e delle origini di alcuni dei mediatori. Rispetto a questo tema è stato fondamentale l’intervento di uno studente bielorusso che ha portato il suo vissuto personale sulle persecuzioni subite in patria, veicolando un’idea di stigma su ciò che viene considerato nemico. Questo ha permesso di rendere complessa e maggiormente sfumata la linea di demarcazione che indicasse una netta posizione da tenere e quali atteggiamenti di giudizio personale palesare per evitare che fossero agiti durante i turni di lavoro.
Con il passare del tempo gli studenti riportavano sentimenti meno angosciosi, in quanto l’organizzazione dei Servizi era nettamente migliorata e in una fase di emergenza secondaria, risultando quindi più sostenibile per la gestione delle attività.
L’aver costruito un buon clima di gruppo ha permesso agli studenti di supportarsi a vicenda per avere la certezza del turno coperto e potersi riprendere il proprio spazio personale come esperienza di sano confine.
Ulteriore elemento significativo è riconducibile all’estrema variabilità delle presenze durante gli incontri di debriefing. Cioè quanti studenti abbiano scelto di partecipare ad alcuni incontri e non ad altri, quasi a voler dire che il non sentire gli incontri come “obbligatori” ha concesso loro di valutare la mancata partecipazione come una opportunità di scelta della misura, in relazione al personale bisogno di supporto, quindi di un supporto che è stato vissuto come fortemente personalizzato.
La co-conduzione
La co-conduzione è di fondamentale importanza in contesti emergenziali, in cui la squadra, il collega, l’altro rappresentano un sostegno e un punto di riferimento.
Nei contesti di emergenza accade frequentemente di non conoscere i colleghi della squadra di intervento, quindi occorre cercare momenti di confronto stabilire una connessione significativa. Per fare questo, le due psicologhe, alla fine di ogni incontro si sono fermate per un confronto a due che ha permesso loro di riflettere sia sul gruppo sia sulle caratteristiche della co-conduzione.
La diversità di competenze, ma soprattutto la capacità di affidarsi l’una all’altra hanno permesso la creazione di una sintonia quasi immediata che si è tradotta in una conduzione molto fluida, capace di produrre un intervento efficace, integrato, equilibrato nella conduzione, che tenesse conto degli aspetti clinici necessari e dei vissuti emotivi a cui è stato garantito uno spazio di emersione.
Tale aspetto di cooperazione si è verificato anche tra gli studenti. Inizialmente la voglia di vivere l’esperienza negli studenti pareva esprimersi anche in un aspetto totalmente personale e di investimento professionale. Man mano che si è potuto approfondire il lavoro, come sopra descritto, si è sviluppato nel gruppo degli studenti un clima di cooperazione con aspetti di attenzione agli altri e di sollievo nel sentirsi anche sostituiti dagli altri nel loro lavoro; tali aspetti hanno generato un maggiore sollievo personale e di rafforzamento del senso di gruppo, di grande aiuto di fronte al compito degli hub e in particolare sui sentimenti generati a contatto con l’esperienza emergenziale.
A cura delle Dott.sse Debora Battani e Valentina Bellotti