La sindrome da esaurimento professionale, più
nota con il termine sindrome da burnout (o
più semplicemente burnout), è l'esito patologico di un
processo stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operatori e
professionisti che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività
che implicano relazioni interpersonali
Il termine "burnout" significa
letteralmente "bruciato" o "scoppiato", e nasce negli
Stati Uniti, negli anni '70, grazie al lavoro dello psicologo Herbert
Freudenberger, che lo usò per descrivere quello stato di esaurimento fisico ed
emotivo riscontrato soprattutto tra gli operatori sanitari e le varie professioni
d'aiuto. Negli anni successivi, nel 1975, Christina Maslach elaborò il
concetto, identificando la sindrome come una risposta allo stress cronico
legato al lavoro e ne sviluppa un questionario volto a misurarne i sintomi
(Masclach Burnout Inventory).
ll burnout quindi si configura come una sindrome da
stress lavoro-correlato che deriva dall'esaurimento delle risorse psico-fisiche
di un individuo, e si manifesta con esaurimento emotivo, cinismo (o
depersonalizzazione) e una ridotta percezione dell'efficacia personale. È
un processo evolutivo che nasce da livelli prolungati e eccessivi di stress
lavorativo e può colpire chiunque, ma è particolarmente diffuso nelle
professioni che richiedono un contatto continuo con altre persone, come quelle
sanitarie e sociali. E’ così ingravescente da avere
ripercussioni su tutti i principali aspetti della vita dell’individuo:
famigliare, affettiva, relazionale, fisica, comportamentale,…tanto che l’OMS lo
ha riconosciuto come un “fenomeno occupazionale” e lo ha inserito nell’11°
revisione della Manuale di Classificazione delle Malattie, ovvero l’ICD-11.
La sindrome insorge principalmente a causa di uno squilibrio
tra le richieste che derivano dall’ambiente esterno/professionali e le capacità
individuali di gestirle, portando a un'incapacità di far fronte al carico di
lavoro. Lo stress cronico non gestito può generare stati di tensione e
demotivazione.
Non è
possibile quindi spiegare e comprendere il fenomeno del burnout senza conoscere
lo stress e le sue implicazioni
Di per sé lo
stress è una componente positiva del processo di apprendimento e adattamento
all’ambiente di ogni essere umano, ed erroneamente viene investito di
un’accezione negativa.
Lo stress infatti
è una risposta aspecifica dell’organismo alle continue stimolazioni che
provengono dall’ambiente e che possono minacciare l’equilibrio interno
mettendoci in crisi, quando non riusciamo a far fronte ai cambiamenti e
alle pressioni che l’ambiente ci presenta. Lo stress tuttavia può passare da positivo a negativo.
Lo stress positivo o eustress si ha quando uno o
più stimoli, anche di natura diversa, allenano la capacità di adattamento
psicofisica individuale. L’eustress è una forma di energia utilizzata per poter
più agevolmente raggiungere un obiettivo, l’individuo quindi ha bisogno di
questi stimoli ambientali che lo spingano ad adattarsi. Lo stress
negativo o distress si ha
invece quando stimoli stressanti, provocano un logorio progressivo fino alla
rottura delle difese psicofisiche. Accadono cioè situazioni in cui “le
condizioni di stress, e quindi di attivazione dell’organismo, permangano anche
in assenza di eventi stressanti oppure che l’organismo reagisca a stimoli
di lieve entità in maniera sproporzionata”
Dal punto di vista squisitamente fisiologico la risposta dell’organismo
attivata dallo stress (positivo o negativo che sia) attiva una moltitudine di
elementi: aumento della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna, il
rilascio di ormoni come adrenalina e cortisolo, oltre a tensione muscolare,
sudorazione, e alterazioni del sistema digestivo e immunitario,…reazioni
fisiologiche che servono al corpo per affrontare quella situazione al di fuori
dell’ordinario, si pensi a un esame, a un colloquio di lavoro….
Affrontare situazioni stressanti, impegnarsi a superarle dal punto di
vista fisico e psicologico, diventa un sistema di adattamento ed apprendimento
importante, se le superiamo positivamente ne trarremmo soddisfazione e buon
umore, senso di autoefficacia e le risorse o i comportamenti che abbiamo messo
in atto diventeranno uno degli “attrezzi del mestiere della vita” da tenere
nella nostra persona cassetta degli attrezzi. Se l’esito non sarà quello atteso
sperimenteremo frustrazione, delusione, ed è normale che sia così. Anche da
queste situazioni possiamo apprendere qualcosa, posto che abbiamo conservato la
capacità di rileggere lucidamente l’accaduto ed individuare dei nostri
possibili errori (nel caso del fallimento di un esame potremo pensare che l’insuccesso
sia dovuto banalmente al fatto che non avevamo studiato tanto), oppure
realizzare che le nostre aspettative erano troppo alte e non realistiche,
oppure ancora che l’esito non poteva dipendere solo da noi, ma da un insieme di
persone e fattori sulle quali non potevamo avere il controllo.
Ebbene, il perdurare nel tempo di queste situazioni (frequenza della
ripetizione) associato all’incapacità di attivare delle risorse (interne o
esterne) efficaci può portare al disturbo da adattamento, alla situazione di
sindrome da stress acuto fino al burnout (e oltre).
Quindi le parole chiave che trasformano lo stress da risposta normale
ad una situazione fuori dall’ordinario a situazione che incide negativamente
nella nostra vita sono la frequenza delle situazioni stressanti e la nostra
incapacità di ridurre l’attivazione fisiologica tipica derivante dallo stato di
stress. Il perdurare di questa mancanza di disattivazione può portare al
burnout, che si caratterizza principalmente per tre dimensioni:
·
Esaurimento emotivo: Sensazione
di essere svuotati delle proprie risorse emotive, con conseguente fatica e
irritabilità.
·
Depersonalizzazione: Atteggiamento
cinico e distaccato nei confronti del proprio lavoro, dei clienti o dei
pazienti, con un abbassamento dell'empatia.
·
Ridotta realizzazione personale: Sentimento di inefficacia e demotivazione, con la
sensazione che il proprio lavoro non abbia più valore e la diminuzione
dell'efficacia professionale.
In che modo i
volontari soccorritori possono essere interessati da queste problematiche?
Ricordiamoci che i soccorritori sono vittime di 3° tipo, subito dopo le
vittime coinvolte nell’evento e i loro familiari e prima della comunità e chi
risente di una fragilità psicologica dipendente da situazioni personali
contingenti, e che molti di loro soffrono della cosiddetta “sindrome del
salvatore o del super eroe”.
I rischi a cui sono esposti durante un’emergenza sono molteplici: il
dolore delle vittime primarie e la loro disperazione, i turni di attività
prolungati e faticosi dal punto di vista fisico, il disconfort, le variabili
organizzative e gestionali della gestione operativa che si verificano in ogni
emergenza, la scarsità di
materiali/attrezzature/fondi, ma anche l’eccessiva identificazione con le
vittime, le personali storie di interventi emergenziali non risolti positivamente
e che hanno lasciato frustrazione ed amarezza mai affrontate, l’eccessivo
investimento o le eccessive aspettative,
il senso di fallimento e impotenza, il pretendere troppo da se stessi..
Il burnout nei soccorritori volontari è da intendersi come una sindrome causata da stress cronico legato all’attività di assistenza, che si manifesta con esaurimento emotivo, spersonalizzazione e scarsa realizzazione personale. Le cause includono l'esposizione diretta o indiretta a traumi (da cui la traumatizzazione vicaria), l’eccessivo coinvolgimento emotivo e un impegno intenso e prolungato nel tempo. Per prevenire e gestire il burnout, sono necessarie strategie di supporto psicologico, come il debriefing e il sostegno tra pari, oltre a pratiche di auto-cura individuale e organizzativa, come l'esercizio fisico e la mindfulness.
Conoscendo questi
rischi, come si fa a non soccombere?
Prima di tutto preparandosi, cioè maturando la consapevolezza che si
può avere a che fare con queste situazioni, interiorizzando l’idea che, in
quanto esseri umani, possiamo venire toccati da questo “fuoco” e sapere come
fare a non bruciarsi.
Si devono adottare dei comportamenti e maturare atteggiamenti che
fungono da veri e propri DPI, intesi come meccanismi di protezione individuale,
ovvero:
Una Formazione teorico-pratica
costante in tempo di pace: è
necessario che il soccorritore conosca le forme del disagio tipiche dei
contesti emergenziali, allenandosi a riconoscerle, a prevenirle e a
fronteggiarle, non a negarle, reprimerle o allontanarle da sé come fossero
elementi di vergogna: è essenziale che vengano percepite e considerate come reazioni
“normali” a situazioni anormali ed estreme
Confidare nella forza della fragilità: è possibile affrontare le realtà più
dure senza “andare in pezzi”, solo se si accetta l’idea che è anche
possibile andare in pezzi: conoscere e accogliere i propri limiti e la propria
fragilità rappresenta la prima grande forza, che permette di considerarsi con
umiltà ma anche con una sufficiente dose di autoironia, che aiuta ad andare
oltre la visione distorta del soccorritore incrollabile, e consente di avere il
coraggio, l’opportunità e la ricchezza di sapere quando è ora di chiedere
aiuto
Potenziare e affinare l’umorismo: come capacità di auto distanziamento,
in termini di protezione è molto più efficace puntare sull’umorismo che
sull’eroismo, dietro cui si nascondono motivazioni narcisistiche spesso non
consapevoli. L’umorismo è uno sguardo attento che permette di sorridere
di fronte alle avversità, nonostante e a causa loro: non nega il dolore
e i limiti, ma permette di vedere oltre. Rappresenta una strategia efficace che
può aiutare i singoli e i gruppi a scaricare le tensioni accumulate e a
rafforzare i legami (ovviamente utilizzato con attenzione e rispetto della
situazione)
Costruirsi un’immagine di sé realistica e positiva: evitare le mitizzazioni di sé, delle
proprie motivazioni, aspettative e azioni. Può capitare che un soccorritore
sostituisca l’attività che è chiamato temporaneamente a svolgere con la
sua vita privata, idealizzando “l’avventura del soccorso”, spesso per riparare
a frustrazioni private nel quotidiano. La sua autostima e il suo benessere
dipendono esclusivamente dal vedersi impegnato e riconosciuto come attivo ed
efficiente (sintomi di chi soffre della «sindrome del super eroe»): è
l’operatore onnipotente e onnipresente, che si crea delle aspettative troppo
elevate su sé stesso, che se non vengono soddisfatte, possono far nascere in
lui nuove frustrazioni, fino a sentirsi inadeguato e ad avere un’immagine totalmente
negativa di sé
Permettersi dei momenti per “staccare la spina”: dedicarsi a relazioni, persone, hobby che danno benessere; molto
efficaci sono quelle attività che usano il corpo come ponte, sport, attività
manuali, fotografia, musica,…
Riportare tutto
alla squadra, al gruppo: il cerchio
dell’emergenza si è aperto lì e lì deve chiudersi, non sempre e non
necessariamente con il supporto di un professionista. Il gruppo ha un
ruolo fondamentale: può essere il luogo in cui sperimentare appartenenza e
solidarietà, ma anche in cui ri-processare in maniera condivisa gli eventi
critici nei quali il gruppo stesso ha vissuto le stesse difficoltà e gli stessi
disagi. La capacità di riconoscere le proprie ed altrui emozioni e risonanze
rappresenta una risorsa essenziale per i soccorritori.
Anche gli psicologi sono dei soccorritori, anche noi siamo vittime di 3
tipo.
Quando servono gli
psicologi dell’emergenza?
In tempo di pace nelle aule di formazione, durante gli addestramenti,
per sensibilizzare i volontari soccorritori sulle tematiche della gestione
dello stress, delle proprie motivazioni a prestare soccorso, delle personali
risorse messe in atto quotidianamente nei momenti di difficoltà: illustrarle,
riconoscerle ed acquisirne di nuove. In emergenza a seguito di situazioni
particolarmente impattanti, oppure a conclusione dell’emergenza o, se questa si
protrae per un lungo periodo, a intervalli periodici per tutta la durata
Va da sé che l’ultima delibera regionale in tema di formazione dei
volontari di Protezione Civile ha previsto un modulo formativo che va ad
approfondire questi aspetti.
Quali tecniche
usano gli psicologi dell’emergenza?
Si possono organizzare momenti strutturati di rilettura e
rielaborazione delle situazioni, condotte da uno psicologo dell’emergenza, come
il debriefing psicologico, uno strumento di intervento molto potente ed efficace,
si conduce in un gruppo di circa 15 persone massimo, tutte quelle che hanno
vissuto lo stesso episodio, e lo si riattraversa seguendo un preciso protocollo
volto a normalizzare le reazioni dei soccorritori e, contemporaneamente, a
fornire utili indicazioni di psicoeducazione
In rari casi si svolgono colloqui individuali, e quando si svolgono
sono l’anteprima di un confronto gruppale.
Chi sono gli
psicologi dell’emergenza di SIPEM Supporto Social sezione regionale Regione
Emilia Romagna?
Sono psicologi e psicoterapeuti volontari, iscritti all’associazione
della SIPEM SoS sede Emilia Romagna, presente dal 2007 in ER, che fa parte
della SIPEM SoS federazione (esistente dal 1999 e attualmente presente sul
territorio nazionali con 15 sedi regionali), iscritta al Dipartimento Nazionale
di Protezione Civile. Quindi siamo volontari di protezione civile specializzati
in psicologia dell’emergenza
Come si diventa
psicologi dell’emergenza?
Requisito è la laurea in psicologia e l’iscrizione all’albo
professionale degli psicologi
Ogni associazione cura la formazione sui temi della psicologia
dell’emergenza per i propri soci, con lezioni, addestramenti e simulazioni. Poi
il resto della formazione la si completa sul campo, durante le emergenze, nelle
prime esperienze affiancando i soci più esperti e poi piano piano in autonomia
In che occasioni
intervengono gli psicologi di SIPEM?
Nelle maxiemergenze: alluvioni, terremoti, gravi incidenti stradali
Nelle microemergenze: situazioni circoscritte dal punto di vista
geografico ma che coinvolgono un’intera comunità, es. scuola, paese, servizio,
fabbrica/ente
Nell’accoglienza dei profughi da zone di guerra
Durante la pandemia
Come contattarli?
A seconda della tipologia di emergenza può essere il dipartimento di
protezione civile, o la regione, oppure un preside, un sindaco, il
dirigente/titolare di un ufficio, di un ospedale, etc… mandando una mail a info@sipem-er.it
A cura della Dott.ssa Montanari Emanuela – Socia SIPEM SoS ER e Referente Territoriale per la provincia di Ferrara