L'adolescente e la guerra

 

L'adolescenza è uno dei periodi di transizione all'interno di una specifica fase del ciclo di vita. L'adolescente si ritrova a vivere cambiamenti su più livelli, a volte definiti da particolari conflitti psicologici, emotivi, fisici e relazionali più o meno intensi. Il suo compito di sviluppo, in questo caso, consiste nella ricerca di apprendere ed acquisire strumenti, competenze e requisiti necessari a sopravvivere, definirsi come individuo e poter assumere le responsabilità di un adulto.

Chi affianca l'adolescente in questo mutevole percorso alla ricerca di una definizione del sé sono la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, la società e le istituzioni, tutti attori che gli offrono la possibilità di sperimentarsi e di affinare capacità volte all'identificazione e raggiungimento della propria autonomia.

Ciò detto, l'adolescente ha bisogno di punti stabili di riferimento che permettano l'espressione, la condivisione e la riflessione emotiva relativamente ai vissuti che si susseguono. Famiglia, sistema educativo, rete socio-culturale diventano cornice di questo luogo sicuro.

Quando un adolescente si trova direttamente coinvolto in una guerra, in Ucraina (oggi), teme per la propria vita e per quella dei propri cari, oltre a subire, implicitamente o meno, le conseguenze di ciò sul piano fisico e sulla salute mentale, destabilizzandosi.

I giovani profughi che scappano dai luoghi di guerra, provenienti dai territori dell'Ucraina, arrivano in altri paesi, come l’Italia, con le proprie famiglie, con uno dei due genitori o addirittura soli. Essi si trovano a doversi ambientare in un nuovo paese, con una nuova lingua, nuove abitudini socio culturali e in situazioni di forte disagio psicologico, fisico, emotivo e relazionale, tanto da sentirsi sempre più disorientati, impotenti, vulnerabili e soli. 

Pertanto, un aiuto verso la transizione all’età adulta ed all’autonomia di questi giovani costituisce uno dei fattori-chiave che necessita di strategie mirate alla loro tutela ed inclusione sociale, attivate da parte dei servizi territoriali ospitanti e dalle associazioni di volontariato, a supporto, presenti.

Con questo obiettivo, il coinvolgimento delle famiglie è il nostro primo passo. La famiglia è un organismo vivente che si modifica in maniera flessibile adattandosi all'ambiente che cambia intorno ad essa: ha come compito quello di nutrire, proteggere e gestire le differenze che definiscono la prole. La famiglia è tenuta insieme dai legami interdipendenti fra i suoi membri dove la loro qualità affettiva defisce la protezione psicosociale e l'identità dei singoli.

Come in una rete di punti interconnessi tra loro, una società che promuove servizi di supporto alle famiglie è una società che tiene in mente l'adolescente come protagonista attivo e in prima linea per la costruzione di un nuovo futuro per il paese, indipendentemente dal paese di provenienza.

Quindi, se riconosciute e supportate nelle loro risorse e necessità, le famiglie d'origine, come quelle di accoglienza, diventano il live motive più importante per i giovani adolescenti: essi hanno così la possibilità di essere riconosciuti a loro volta come appartenenti ad un sistema più grande che li connette, li vede, li comprende e gli offre l'opportunità di rielaborare il loro vissuto traumatico.

In questo senso, di seguito troverete alcune strategie utili per aiutare i giovani adolescenti.

Osservare i comportamenti - notare stati di tensione, disagio o malessere, ovvero comportamenti e atteggiamenti diversi da quelli che solitamente agiscono.

Accogliere l’espressività emotiva – comprendere, anche attraverso l'uso di semplici domande le loro sensazioni ed emozioni che vivono, per aiutarli ad esprimersi libermente senza temere giudizi.

Ascoltare attivamente – dedicare tempo all'ascolto dei loro racconti e dei loro vissuti, anche quando riguardano la guerra e la perdita di persone care, rimaste al loro paese ed alla vita conosciuta.

Confortare - stare loro vicino permettendogli di attivare un adattamento positivo al nuovo ambiente, come figli e come persone.

Coinvolgere – motivarli a compiere attività semplici e quotidiane, che possano permettergli di sentirsi vivi, utili, parte di un sistema che cerca di raccogliere le poche certezze rimaste per riuscire a vedere un futuro, dove in questo momento per loro può essere difficile immaginarlo.

Comunicare - favorire l'allenamento di un dialogo empatico ed assertivo, dove si riconoscono i bisogni e le motivazioni da cui nascono specifiche espressioni e modalità verbali.

Socializzare - conoscere e comprendere quali servizi territoriali sono utili per la salute, la collettività, l'educazione, l'integrazione ed aggregazione culturale e sociale. Permettere ai ragazzi di aderire ad attività sportivo-ricreative, capaci di generare inclusione, relazioni tra pari e modelli positivi; superare la barriera linguistica, assimilare abitudini salutari, sviluppare un senso di comunità.

Lasciare spazi e tempi individuali – individuare luoghi dove i giovani possano stare con loro stessi e dedicarsi ad attività personali (lettura, musica, disegno, scrittura, ecc…)

Respirare - favorire la costruzione di una buona prassi per la salute psico-fisica che consiste in uno spazio dove poter riprendere contatto col proprio corpo attraverso esercizi di respirazione e rilassamento fisico.

                                                                   A cura di Elisabetta Vaccari e Francesca Brazzi, Socie SIPEM SoS ER






BIBLIOGRAFIA:

"Guerre di oggi. Gli adolescenti raccontano la guerra", a cura di C. Bernetti e G. Dibitonto, Ed. Dialoghi, 2021;

"Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche" di Bessel Van der Kolk, Ed. Raffaello Cortina, 2015;

"Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, di E. Scabini e V. Cigoli, Ed. Raffaello Cortina Editore, 2000;

"Manuale dell'adolescenza" a cura di A. Maggiolini e G. Pietropolli Charmet , Ed. Franco Angeli, 2004;

"Nuovo dizionario di psicologia" U. Galimberti, Ed. Feltrinelli, 2021.







La guerra: catastrofe globale che sconvolge tutti e tutto



Sono ormai milioni le persone in fuga dalla guerra in Ucraina e fra queste moltissimi minori, bambini e adolescenti, tutte persone che sono dovute scappare dal loro paese per cercare rifugio in pesi amici che possano accoglierli, spesso dovendo vivere giorni e giorni di disagio estremo, di paura e angoscia, prima di potersi sentire un po' al sicuro. Viaggi verso la salvezza, vissuti da fuggitivi, a volte esposti anche a freddo, fame e violenze di vario genere.

I profughi che fuggono dalla loro terra lasciano tutto, ogni legame viene reciso: la sicurezza della loro casa, delle loro relazioni affettive, del loro ambiente sociale, la rassicurante e serena quotidianità. E’ un’esperienza di terrore, di mancanza di senso, di lutto profondo e totale. Spesso si manifesta da subito una perdita di fiducia, fiducia negli altri esseri umani, fiducia nella vita e nel futuro.

Ormai non c’è più bisogno di ricordare che la guerra è un’esperienza traumaticamente devastante per questi profughi e per chi la subisce in prima persona. Lascia tracce spesso indelebili e inguaribili, soprattutto se non si trova poi un’ambiente sociale e umano capace di accogliere e lenire, almeno un po', queste ferite. Ferite che rischiano di avere in futuro potenti effetti sulla salute mentale: un senso di profonda insicurezza, di disistima di sè, di ansia, grossi problemi emotivi e di socializzazione, comportamenti violenti, abuso di sostanze, depressione e altro ancora. Tutte condizioni che col tempo possono avere importanti esiti psicopatologici: disturbo da stress post-traumatico (PTSD), disturbi dissociativi e altri disturbi psichiatrici, fino al punto da sviluppare anche malattie somatiche che possono facilmente cronicizzare.

Dagli studi e ricerche di questi ultimi decenni sappiamo che la grande parte dei sopravvissuti alla guerra spesso soffre di problemi che si esprimono e si sviluppano in tempi medio-lunghi. I bambini e gli adolescenti poi soffrono moltissimo, sono le vittime più vulnerabili e fragili. Spesso non esprimono verbalmente le emozioni più forti, ma sono terrorizzati e totalmente disorientati davanti a quello che sta accadendo a loro e ai loro familiari. I sintomi osservati più frequentemente in altre esperienze simili (es. il post conflitto nell’ex Jugoslavia) sono stati: irrequietezza e scoppi di rabbia, problemi di apprendimento, ansia da separazione, disturbi del sonno, comportamenti pericolosi, problemi alimentari (a volte anche il rifiuto di mangiare e bere), mal di testa e/o di stomaco. Con la possibilità di arrivare, anche per loro, a soffrire di PTSD e a importanti sintomi depressivi (a volte con pensieri suicidi). Solo nella ex Jugoslavia, già nel 2006, si calcolava che circa il 29 % dei rifugiati, il 75% degli sfollati e l’11% dei civili presentassero gravi disturbi psicologici dovuti all'esperienza traumatica della guerra. Sempre in quel periodo, alcune stime parlavano di circa un milione e mezzo di persone che in Bosnia soffrivano di PTSD!

I bambini, si diceva, sono i più esposti a questa terribile esperienza, sperimentano il terrore della morte, esperienza che non conoscono e che non sanno significare ed integrare nella propria mente, e più sono piccoli più profondamente quest’angoscia scuote profondamente il loro equilibrio psicofisico. Occorre quindi aiutarli ad elaborare questa esperienza profondamente traumatica parlando con loro, ascoltandoli nei loro pensieri, nelle loro paure, dare risposta alle loro domande (anche giocando e disegnando con loro), ma proteggendoli anche dall’esposizione a immagini e notizie di guerra che scorrono giornalmente sui nostri schermi.

In questo è importantissimo il ruolo dei genitori. Sono loro, prima di chiunque altro, a poter rassicurare i bambini, e quindi anche loro vanno assolutamente supportati e aiutati a ritrovare un po' di sicurezza e tranquillità. Spesso per loro c’è bisogno di un supporto specialistico, di un supporto fornito da psicologi formati e competenti nell’intervento emergenziale, e questo è proprio il compito degli psicologi dell’emergenza. In questi interventi di solito sono utilizzate tecniche di rielaborazione ed integrazione dell’esperienza traumatica, pratiche di rilassamento e altre modalità ancora. E’ soprattutto utile la possibilità per i profughi di raccontare, di essere ascoltati e compresi empaticamente; la narrazione è fondamentale per poter organizzare nella propria mente l’esperienza vissuta, ma è anche importante che, quando si tocchino eventi e vissuti particolarmente traumatici, ci possa essere proprio la presenza di uno psicologo competente che sappia come sostenere ed intervenire in modo mirato e professionale.

Dobbiamo considerare che la paura e la rabbia che nascono dopo queste esperienze, col tempo possono tramutarsi in odio e risentimento. Possono diventare sentimenti pervasivi, mantenersi a lungo e portare a sviluppare una marcata mancanza di fiducia e di speranza e una mancanza di prospettiva verso il futuro. Per questo motivo il contatto umano è l’esperienza “curativa” indispensabile; quindi, ad essere centrale sarà anche l’atteggiamento di accoglienza a livello micro (la realtà cittadina) e macro sociale (la realtà sociale più allargata). Sarà importante fare sentire accolti e protetti tutte queste persone, adulti e minori, aiutandoli anche a vivere la loro quotidianità in un paese per loro straniero qual è il nostro, senza aggravare la loro condizione e aiutandoli a ridurre un poco la paura ed il senso d’insicurezza.

Sarà, per noi, un grande impegno riuscire ad accogliere nel migliore dei modi tutte le persone che stanno arrivando in Italia (e negli altri paesi europei). E possiamo fare qualcosa adesso, qualcosa che aiuti queste persone a ritrovare un maggior senso di sicurezza, di fiducia nell’essere umano e soprattutto che li aiuti ad interrompere quella catena di odio, risentimento e violenza che genera sempre la guerra. Possiamo supportarle durante i primi mesi, e questo è il compito della psicologia dell’emergenza, e dobbiamo poi continuare a monitorare e seguire il processo di adattamento nel medio e lungo periodo per evitare i problemi di cui sopra e l’insorgenza di stress post-traumatico, e questo sarà soprattutto compito dei nostri servizi pubblici.

Quello che sta succedendo in Ucraina però, l’invasione di quella terra, la guerra e gli orrori che ne derivano, non è confinato solo quel paese e alla sua gente. Tutti noi, qui in Italia, possiamo esserne un pò vittime! In misura assolutamente minore, ma il contatto con questi profughi, le notizie e le immagini che ci arrivano attraverso i mass media e i social media e la preoccupazione e la paura per l’allargamento del conflitto bellico affondano nei nostri cuori e nelle nostre menti lasciando il segno. Anche noi quindi dobbiamo fare attenzione ai segnali di stress emotivo che possono nascere durante questo tempi così incerti. Dopo la pandemia dobbiamo ora occuparci di una nuova minaccia, siamo chiamati ancora una volta a fare grandi sforzi per mantenere un buon equilibrio dentro di noi e nella nostra quotidianità. E anche noi dobbiamo prenderci cura dei nostri bambini e adolescenti per proteggerli e rassicurarli, coltivando assieme a loro la fiducia e la speranza che da tutto questo possa venire qualcosa di buono.

di Alberto Dazzi, Socio SIPEM SoS ER